USA: secondo maggiore importatore di greggio russo

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La Energy Information Administration (EIA) degli Stati Uniti ha reso noto, giovedì 25 marzo, che gli USA hanno incrementato le importazioni di petrolio e di prodotti petroliferi dalla Russia, nonostante le tensioni geopolitiche anche in campo energetico.

I dati dell’EIA hanno rivelato che il volume degli import statunitensi, nel 2020, è stato di 538 mila barili di greggio al giorno. Ne consegue che, su base annua, le forniture da Mosca sono aumentate del 3,5%, portando la Russia a diventare il secondo maggiore esportatore di petrolio negli Stati Uniti, rimpiazzando l’Arabia Saudita. La quota delle importazioni statunitensi sul totale degli import russi giornalieri nel settore del petrolio e dei prodotti derivati, durante il 2020, ha raggiunto quasi il 7%. Anche questo dato rappresenta un record. Gli analisti statunitensi hanno osservato che cifre di questo tipo non si registravano dal 2011, anno in cui gli export russi verso gli USA avevano raggiunto il 5,5%, per poi diminuire e aumentare nuovamente nel 2019, al 5,7%.

Numerosi esperti hanno esaminato il boom di importazioni di Washington. Il direttore del gruppo per le risorse e materie prime della Fitch, Dmitry Marinchenko, ha osservato che, nonostante gli indicatori da record, non si può affermare che gli Stati Uniti siano in uno stato di “dipendenza critica” dalle forniture russe. L’esperto ha spiegato che la Casa Bianca, nel caso in cui fosse necessario, potrebbe sostituire il petrolio russo con quello del Medio Oriente, anche se le caratteristiche di ogni tipo di petrolio non sempre rendono i greggi completamente interscambiabili. Inoltre, Marinchenko ha chiarito quali potrebbero essere le ragioni che hanno portato gli USA ad incrementare l’importazione dalla Russia. La prima causa è da attribuire alle dure sanzioni statunitensi contro il Venezuela, storico fornitore degli USA. Marinchenko ha sottolineato che in questo caso le caratteristiche del greggio venezuelano e di quello degli Urali sono analoghe, dato che entrambe le tipologie di petrolio sono “pesanti”.

L’EIA ha reso noto che, nella prima metà del 2020, con un import pari a 68 milioni di barili di petrolio, gli Stati Uniti si sono aggiudicati il titolo di maggiori importatori dalla Russia negli ultimi 16 anni. I dati hanno collocato gli USA tra l’Olanda e Malta. Tuttavia, secondo un articolo di E. Wayne Merry, pubblicato sulla rivista specializzata The National Interest, gli Stati Uniti importano il greggio russo perché dispongono di raffinerie, situate sulla costa del Golfo del Texas e della Louisiana, progettate per trattare esclusivamente il petrolio molto pesante e ad alto contenuto di zolfo. Si tratta dello stesso greggio che, come è stato anticipato, è estratto in Venezuela ma che non è possibile importare negli USA per via delle sanzioni imposte contro Caracas. Per ragioni meramente tecniche, tali raffinerie non possono trattare il greggio più leggero e a basso tenore di zolfo estratto negli Stati Uniti. Ad aggiungersi alla lista dei fattori che hanno portato le raffinerie a scegliere di acquistare il pesante greggio russo, come sostituto a quello venezuelano, sono il prezzo e il trasporto.

Ne consegue che le importazioni degli Stati Uniti sono significativamente aumentate per ragioni economiche, non tenendo in considerazione, però, il contesto più ampio del deterioramento delle relazioni russo-americane e delle sanzioni di Washington imposte contro il regime di Mosca. L’analista di The National Interest ha sottolineato che importazioni di tale calibro confluiscono direttamente nelle casse del Cremlino, garantendogli una base solida e copiosa di guadagno. Un altro fattore sul quale Wayne Merry ha posto l’attenzione è quello relativo alle sanzioni che gli USA hanno imposto contro il gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2 per ostacolarne il completamento. L’analista ha osservato che se gli Stati Uniti vogliono fungere da esempio e, al contempo, trovare una soluzione alla questione del forte incremento di importazioni di idrocarburi russi dovrebbero imporre sanzioni finanziarie retroattive alle società statunitensi che, continuando ad importare milioni di tonnellate di petrolio greggio russo, non fanno altro che finanziare il Cremlino.